Ezio Mentigazzi


Abbiamo preferito non perderci in date e dati, bensi lasciare raccontare l’uomo a chi l’ha conosciuto realmente al dì là delle imprese alpinistiche. Non possiamo che confermare la legittimità di avere intitolato una “Scuola di Montagna” ad un uomo con queste caratteristiche.


 

Ezio MentigazziChi era alpinisticamente parlando Ezio Mentigazzi? La domanda che a chi lo ha accompagnato nelle innumerevoli imprese può parere semplice, è per me al contrario molto difficile, perché anche alpinisticamente parlando, era mio padre. Era l’uomo che iniziava alla sera il suo rituale preparando meticolosamente ed ordinatamente lo zaino. Si alzava all’alba sulle punte, accendeva un lumino sopra il fornello e mi rispondeva con tono autoritario “cosa ci fai sveglia!, chiudi gli occhi e dormi” quando gli rovinavo il gioco del silenzio e timidamente speravo di riuscire ad augurargli buona gita e ricordargli di riempire la borraccia! Mio padre era acqua. Lo attendevo alla sera con ansia sapendo che non mi avrebbe mai tradita od ingannata, era una persona integra ed onesta ed ero certa che se la borraccia tornava piena, l’acqua era quella buona. Gli commissionavo ogni volta il compito e il nostro rito e gioco consisteva nel berci una bella golata d’acqua d’alta quota indispettendo mia mamma che dava il la al suo ritornello: “Prendete un bicchiere, sembrate due carrettieri”. Mio papà era acqua perché trasparente, assolutamente coerente e in linea con i suoi pensieri, spesso contro corrente e spesso inafferrabile, lo stesso l’alpinista, che ritrovava nella montagna la sua dimensione, quasi fosse il suo alter ego o la proiezione di sé, del suo modo di essere, di vivere e di vedere le cose. Credo che avrebbe voluto animare le leggi della montagna e farne un esempio di Utopia, di polis perfetta, non c’era regola che non gli si confacesse: la montagna nel suo insieme, nella sua durezza, nella sua fatica, nel suo splendore di luci e profumi, credo fosse per lui l’esempio del mondo ideale, della massima elevazione dell’uomo. Non c’è foto che non lo ritragga con un sorriso sereno e quasi mistico, totalmente appagato di sé e di ciò che lo circonda, seppure stanco. Quando guardava i monti con i suoi occhi chiarissimi, color ghiaccio, era come se si guardasse compiaciuto allo specchio, quasi fossero sue creazioni. Ne rispettava assiduamente le regole, come per ogni cosa che si ama dal profondo e che, contrariamente a quanto accade spesso nel mondo che ci accoglie quotidianamente, è anche capace di ricambiare e ci ripaga degli sforzi e dei sacrifici. Il miracoloso paradosso della montagna, quello più affascinante, stava proprio nella contraddizione di trovarsi in situazioni al limite, ma mantenere i nervi saldi, il controllo di sé e la serenità. Lo riscattava da quel suo secondo io in cui non si ritrovava e con cui doveva combattere ogni giorno, che per ogni responsabilità e tensione trovava un alibi per alterarsi. Era anche il luogo d’incontro delle grandi amicizie, quelle vere, quelle per le quali si può esser chiamati a dare la vita, quelle in cui il vincolo non si grida è tacito, perché la montagna è pace e silenzio.
Non ho le competenze, le capacità e l’esperienza per descrivere chi fosse alpinisticamente parlando Ezio Mentigazzi, ma posso dire che aveva un’adorazione incondizionata per la montagna e che per lui raggiungere la vetta era come sedersi a tavola con il migliore amico che non si vede da tempo, lasciarsi accogliere per goderne appieno il momento, senza sostare furtivamente sulla soglia.
Scherzavano spesso con lui perché aveva la nomea di portar pioggia e in molti lo chiamavano Bernacca, prevedendo già che tempo avrebbe fatto in sua compagnia. E’ piovuto su di lui per giorni e giorni mentre lo cercavano, sembravano migliaia. Non sono mai riuscita ad odiare neanche quella montagna specifica, sarebbe stato come tradirlo e snaturarmi, ma ho odiato con tutta me stessa il rumore della pioggia assordante che avrebbe potuto soffocarne un richiamo, che ci oscurava nella nebbia. Sparito nel nulla di una montagna senza glorie e dimenticata. Per come conoscevo mio padre non avrebbe mai voluto e concesso che si mettessero tante vite a rischio per cercarlo, tutti, tanti e ancora di più gli Amici che sono venuti in soccorso per giorni e giorni e con noi hanno sperato di salutarlo. Stride l’incoerenza della montagna che lo ha preso a sé, stride con i principi dell’uomo e dell’alpinista ed è anche per questo che nessuno di noi ha ancora osato alzarsi e spegnere la lucina sopra al gas.
Ringrazio a nome di tutta la mia famiglia il CAI nel suo insieme, gli amici e soccorritori; gli istruttori e allievi della Scuola di escursionismo Ezio Mentigazzi, e tutto il mondo di volontari che ne fa parte o ne condivide i principi. Un sentito ringraziamento per la creazione della scuola in suo nome che coerentemente fa della sua memoria un insegnamento utile, anche al più esperto alpinista o escursionista, ad avvicinarsi sempre in sicurezza alla montagna. Vi prego quindi, non andateci mai da soli!


Roberta Mentigazzi.



Qualche dato ci pare comunque doveroso visto l’impegno profuso in più di trent’anni di volontariato nel CAI Torino:

– Istruttore della scuola di Sci-alpinismo nel 1964.
– Nel 1971 è diventato istruttore Nazionale di Sci-Alpinismo.
– Nel 1982, con Marocchino e Scala, ha pubblicato il volume “Dalle Marittime al Vallese (100 itinerari in sci)”.
– Nel 1990 ha scritto un volume fondamentale: “Dolomiti, grandi raid in sci”, integrato nel 1993 da un nuovo raid, asempre in Dolomiti, pubblicato su Scandere.
– Presidente della Sezione di Torino del CAI per tre anni dal 1991 al 1993.

Con gli sci privilegiava i grandi raid di più giorni o la ricerca di nuovi itinerari; in estate, le grandi salite classiche di notevole impegno, come la via Major al Bianco, la via Brioschi alla Nordend, la parete N del Monviso. A una cospicua attività alpinistica univa la passione per l’insegnamento della montagna e un notevole impegno organizzativo, sia nella scuola Sucai sia nel CAI Torino.
Un appunto scherzoso (che probabilmente è ben noto): causa la lunghezza delle gite, rientrava spesso a notte fonda. Perciò, insieme agli amici che dividevano con lui queste scarpinate (Lino Rosso, Bergadano, Gillio…) si erano autodefiniti “il club della pila”.

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